Il cibo nell’arte. Dall’antica Roma a Van Gogh.

Da sempre, l’atto del mangiare è collegato ad uno dei più grandi piaceri della vita, tant’è che esiste un girone all’inferno fatto apposta per i golosi. Quindi non stupisce vedere il cibo come protagonista di moltissime opere d’arte dall’antichità fino ad oggi. Ma, in realtà, gli alimenti e le nature morte nascondo molto più di quanto sembri. Sono intrisi di significati e simbologie ed inoltre forniscono un’interpretazione sociologica sul periodo che si va ad analizzare.

Oggi, per la giornata mondiale dell’alimentazione, faremo un breve viaggio del cibo nell’arte.


Nell’antica Roma

I romani avevano una vera e propria cultura del cibo. L’atto del mangiare era un vero e proprio rituale da compiersi in serenità. Alla cena, era riservata una stanza particolare: il triclinium, che prendeva il nome dai letti a tre posti (triclinia) dove si stendevano i commensali. Nei tempi passati le donne erano destinate a sedere ai piedi del marito ma in età imperiale le matrone romane acquisirono il diritto al triclinio mentre ai ragazzi erano destinati degli sgabelli di fronte al letto dei genitori. Nei giorni di festa, anche gli schiavi potevano essere autorizzati dal padrone all’uso del triclinio che era considerato un simbolo di benessere e distinzione sociale.

Nell’antica Roma, però ogni alimento rappresentato era un dono ad una divinità differente. L’uva per Bacco, dio del vino, simbolo di una vita felice nell’aldilà; il frumento era per Cerere, dea del grano, che incarnava virtù e vizio.

Una tradizione molto particolare era quella di lasciare il cibo sul pavimento, non appena si finiva di banchettare. Abitudine così diffusa da diventare un motivo ricorrente nei mosaici romani in scene sacre e profane.  Inoltre il pittore, rappresentando gli alimenti in pittura, dimostrava la propria maestria tecnica e bravura; caratteristica costante nei dipinti di natura morta in tutta la storia dell’arte occidentale.


Il Medioevo e i doni di Dio

Nell’alto Medioevo il cibo era considerato un dono di Dio e frutto di grandi sacrifici. Inizialmente non sono molte le scene di grandi banchetti e vengono predilette le scene agricole e di trasformazione delle materie prime. Il cibo, in quanto dono di Dio, però era anche utilizzato (soprattutto dal basso Medioevo in po) per insegnare il comportamento del buon cristiano ai fedeli.

In questa scena è rappresentata una ricca famiglia mentre degusta un uccello selvatico dalle piume argentate, posato su un importante piatto in argento.

The Feast of Dives, Master of James IV of Scotland, circa 1510 – 1520 (collezione: J. Paul Getty Museum)

La famiglia egoista e golosa, intenta a mangiare fino a scoppiare riceve la visita di un mendicante morente. Il pover’uomo chiede loro del cibo, ma i ricchi uomini decidono di cacciarlo e lasciarlo in preda al proprio destino

Ma tutta questa storia ha una morale. Il rifiuto di nutrire il mendicante, farà guadagnare al ricco uomo un posto all’inferno, mentre il povero sale in paradiso.


L’uovo

Con l’avvento del Cristianesimo, l’uovo inizierà ad essere simbolo di resurrezione, ma fin dal Medioevo era associato anche alla Maddalena, che in tante immagini sacre ne tiene in mano uno, spesso di colore rosso.  Ma perché questo?

Maria Maddalena fu la prima a recarsi al sepolcro di Gesù, scoprendolo vuoto. Il risorto allora, mandò la donna a chiamare gli altri apostoli. Secondo una tradizione molto antica, quando Maria Maddalena annunciò agli apostoli che Cristo era risorto, Pietro la guardò scettico e disse: «Crederò a quello che dici solo se le uova contenute in quel cestello diverranno rosse!».

Le uova, in quell’esatto istante si colorarono di rosso e da quel momento si diffuse l’usanza di regalare uova dipinte di rosso per la Pasqua.

L’uovo è inoltre, una forma ricca di significati, anche filosofici, come quello di comunicare che nulla è tanto piccolo da non rientrare in una proporzione universale. Al contempo è  forma perfetta, nata dall’unione di un cerchio (simbolo del divino) e un triangolo (la trinità) e quindi ascesi mistica e contatto diretto con il divino.


Cene famose

La cena più rappresentata e famosa nella storia dell’arte è probabilmente l’ultima cena. Sebbene il focus del banchetto sia il tradimento di Gesù da parte di Giuda, nelle rappresentazioni di questa cena sono sempre presenti due elementi fissi e fondamentali, ma soprattutto simbolici: il pane e il vino. Alcuni teologi ritengono che la cena sia avvenuta durante la Pasqua ebraica, nel qual caso sulla tavola di Gesù potevano essere disposti altri alimenti, come fagioli stufati, olive, datteri, frutta e noci.

Altra scena famosa è la cena in Emmaus. Narrata dal Vangelo di Luca, si riferisce al momento in cui sulla via di Emmaus (un villaggio vicino a Gerusalemme) Cristo compare a due suoi discepoli senza farsi riconoscere. Entrati in una locanda e sedutisi a tavola per rifocillarsi, i due apostoli riconoscono Gesù quando egli benedice il pane e lo spezza.

Cena in Emmaus, Caravaggio, 1601

Il mutato umore dell’artista, fa si che nella cena del 1601, la tavolozza di Michelangelo Merisi sia brillante e chiara, mentre in quella del 1606 si incupisce e predilige i bruni e gli ocra. Nella  seconda cena di Emmaus di Caravaggio, Gesù è quasi in meditazione. Rappresentato come un uomo stanco e dai vestiti poveri, mentre è intento a benedire il cibo sotto lo sguardo rapito della locandiera e dei discepoli. Anche la tavola cambia drasticamente. Nella versione del 1601 era apparecchiata con un pollo, molto pane, acqua, vino e una cesta di frutta, adesso ha solo la brocca del vino e un paio di pagnotte. Queste scelte stilistiche, oltre allo stato d’animo dell’artista, sono dettate probabilmente dalla volontà di rifarsi in modo più fedele ed essenziale agli scritti religiosi. Così qui il cibo, rappresenta fedeltà agli usi e costumi negli scritti religiosi, ma anche il profondo tormento, la rassegnazione, la povertà e grande tristezza dell’autore.

Cena in Emmaus, Caravaggio, 1606

Visi di frutta

Non sappiamo ancora perché, l’artista italiano Arcimboldo si divertisse a creare ritratti di frutta, né tanto meno ci è noto il perché abbia iniziato a dipingere così e come gli venne l’idea. L’unica cosa che sappiamo, quasi con certezza, è che i suoi ritratti siano delle allegorie imperiali.  Qui, Rodolfo II è Vertumno, il dio romano delle stagioni e della crescita. Le grandiose varietà di frutta e verdura mostra il ritorno di un’epoca di abbondanza!

Giuseppe Arcimboldo, Rodolfo II d’Asburgo come Vertumno, 1590 (collezione: Castello di Skokloster)

Ho voglia di… cavoli e carote

Frutta e verdura non veniva riprodotta solo in dipinti religiosi o di imperatori, ma anche in quelli erotici!

Il cavolo, per esempio, era simbolo della sessualità femminile, mentre le carote, i pomodori e i cetrioli erano associati al sesso maschile. Pieter Aertsen, rappresenta così, in chiave decisamente erotica, una giornata al mercato. La donna in primo piano taglia un cavolo guardando in modo ammiccante lo spettatore, mentre l’uomo dietro, non so cosa stia facendo esattamente con quella carota.. e va bene così. Ora c’è PornHub, ma nel 1500 avevano le scene di mercato con Pieter Aertsen e si volava.


La dignità degli umili

Il sensibilissimo artista Van Gogh, cercava di dipingere i più umili per dare loro una dignità attraverso l’arte. L’artista olandese, non rappresentava i lavoratori in modo eroico e spensierato, ma i suoi erano uomini e donne poveri, veri.

Al Fratello Theo scrive “Sto lavorando intensamente ai mangiatori di patate(…), ho fatto nuovi studi delle teste, in particolare ho cambiato le mani. Sopratutto, sto facendo del mio meglio per metterci dentro la VITA.”

Nei mangiatori di patate, Van Gogh racconta la verità, nuda e cruda. Con un’autenticità rozza e brutale rappresenta una famiglia a cena. Uomini e donne dall’aria stanca, svuotata e consumata che, sotto la luce verdastra di una lampada a petrolio, mangiano le patate che loro stessi hanno coltivato.


Spero che l’articolo di oggi in onore della giornata mondiale dell’alimentazione vi sia piaciuto. Fate i bravi e mangiate frutta e verdura.

Peace.

Francesca Anita Gigli

Divulgatrice culturale e collaboratrice di Finestre sull'Arte, ho creato Likeitalians nel 2020 per rendere la cultura alla portata di tutti. Sono una studentessa di Storia dell'arte, di quelle che non si prendono troppo sul serio. Leggo libri, scalo montagne, parlo di arte e di culture con spensieratezza. Sono una vagabonda e la nonna da piccola mi chiamava zingara, forse ci ha azzeccato prima di tutti.

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