La donna dal kimono bianco di Ana Johns


Giappone, 1957
.

Naoko Nakamura è stata promessa in sposa al figlio del socio di suo padre, lei però si innamora follemente di un uomo sbagliato: un marinaio americano. Fa parte di quella categoria che in Giappone viene definita Gaijin: uno straniero.

In questi anni i bambini nati da unioni non pure e quindi di “razza mista“,  sono guardati con disonore, vengono discriminati dalla società e costretti ad occuparsi dei lavori più impuri.

Dobbiamo infatti ricordarci che il sistema zen, ma anche quello neo-confuciano di epoca Edo, prevedono una divisione in classi della società e gli “hinin” sii trovano ai margini. Sono i “non umani” coloro che si occupano di lavori impuri: hanno a che fare con l’uccisione di animali ecc. Con l’arrivo dell’era moderna, nel 1871 fu promulgato l’editto d’emancipazione che mise definitivamente la parola fine al sistema delle caste, però la strada verso l’integrazione era ancora lunga e in salita.

Inutile dire quindi che la famiglia non accetterà mai l’uomo di cui Naoko si è innamorata e farà di tutto per metterle i bastoni fra le ruote. Naoko scopre ben presto di essere incinta e tutte le speranze che aveva risposto nella famiglia, tutto l’amore e l’affetto che ogni essere umano desidera e merita, si rivela soltanto una mera illusione. La ragazza si ritrova così, sola a dover prendere decisioni difficili e inimmaginabili per qualunque donna.


Stati Uniti, oggi.

Tori Kovač è una giornalista intenta ad assistere il padre in fin di vita. Prima di morire, le consegna una lettera sconvolgente. L’anziano non avrà mai il tempo di spiegare alla figlia il significato delle parole custodite al suo interno, ma la lascerà con una frase che le spezzerà il cuore.

«Tua madre è stata l’amore della mia vita, ma prima di quella vita, ne ho vissuto un’altra. È ciò che stavo cercando di dirti.»

Tori, alla morte del padre si troverà sola e senza più nessun punto fermo nella sua vita. Tutto ciò che aveva amato di quell’uomo crolla all’improvviso.

La giornalista però deciderà di scoprire la verità sul passato della sua famiglia. Intraprenderà un viaggio che la porta in estremo Oriente, in un villaggio sulla costa giapponese. Proprio in un luogo così remoto Tori, riscoprirà le sue radici e farà i conti con il suo passato.


Sono state tantissime le motivazioni che mi hanno spinta a prendere “la donna dal kimono bianco“. Prima fra tutte, l’ambientazione: Il Giappone e chi mi conosce sa che in questo periodo ho la fissazione per le culture orientali. La mia vita funziona così, seguo lezioni universitarie e mi fisso sulle cose, tanto da non riuscire quasi più a pensare ad altro. Devo sapere tutto di quel mondo, anche se poi, ovviamente, ci si scontra con la realtà e si scopre che sapere “tutto” non è per niente realistico.

Smetto di divagare. Secondo motivo: amo le storie che si intrecciano e parlano di vicende differenti nello spazio e nel tempo per poi, in un modo o nell’altro, unirsi.

Terzo: tratto da eventi realmente accadutiQuando leggo questo, mi comporto un po’ come le falene attirate da una qualsiasi luce: abbocco e corro intontita verso di essa. Mai farsi abbindolare da quelle 5 paroline magiche che si impossessano delle tue facoltà mentali: “tratto” “da” “una” “storia” “vera”. Spero di non essere l’unica, ma sono una di quelle persone che perde totalmente la ragione appena legge quella frase malefica e se dovessero mettere in scena un film di alieni che mangiano gli zombie, ambientato nel 1500 e scrivere “tratto da una storia vera” probabilmente mi trovereste li, in prima fila. 

Quarto: la trama ovviamente, sennò non avrei acquistato il romanzo.

Ecco, dopo questa estenuante premessa posso dirvi che no, il libro a me non è piaciuto. Il mio è un parere personalissimo sul trattamento della storia che, purtroppo,  non ha incontrato i miei gusti. Non ho mai amato fare il bastian contrario, ma purtroppo le mie aspettative su questo romanzo erano troppo alte e non sono state soddisfatte. Mi è sembrato uno di quei romanzi che sentono il bisogno impellente di tirarti fuori una lacrimuccia kitsch. Mi sono quasi sentita obbligata a dover empatizzare con le due donne. Ho trovato alcune scelte dell’autrice troppo melodrammatiche, come se volesse tirarti fuori a forza delle emozioni che non senti di dover provare.


Il romanzo è tratto dai racconti del padre della scrittrice e da vicende storiche realmente accadute. La scrittura fluida e semplice permette una lettura molto veloce di tutto il romanzo. Il popolo giapponese è composto, fine, pacato e spesso non capito a fondo dagli occhi di un occidentale ma Ana Johns effettua un lavoro delicatissimo e rispettoso della cultura presa in esame.


Questo è ovviamente un mio personalissimo pensiero legato al mio vissuto e alla mia sensibilità. Le modalità dell’emozionarsi, fortunatamente, sono strettamente personali e cambiano per ognuno di noi. Quindi se pensate che “la donna dal kimono bianco” possa piacervi, non fatevi scoraggiare da ciò che ho scritto, leggetelo e se anche a voi non sarà piaciuto, non scoraggiatevi. Un libro non è mai una perdita di tempo.

In ogni caso sarei molto curiosa di avere le vostre opinioni a riguardo.

Vi mando un abbraccio …. a un metro di distanza.

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