L’arte relazionale come esperienza condivisa

arte relazionale, Maria Lai

L’arte, come la vita, non da alcuna certezza. Alcune scelte possono sembrare decori fini e se stessi che, poi, con il tempo, si scoprono essere colonne portanti per la tua storia. 

Così, un giorno, Maria Lai decide di insegnarci l’arte relazionale: l’arte come vita. Perchè solamente tu, puoi e devi essere l’autore e tessitore delle tue personalissime trame.

 

Cos’è l’arte relazionale?

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All’inizio degli anni ’90 si inizia timidamente a parlare di estetica relazionale in campo artistico, filosofico e artistico. Tra i primi a teorizzare questa precisa e particolare forma d’arte fu il critico francese Nicolas Bourriaud, grazie soprattutto alla sua esperienza e al contatto diretto con gli artisti dell’epoca.

Il francese codifica l’arte relazionale studiando e guardando l’opera di artisti diversi, che propongono una rivoluzione e un mutamento radicale rispetto gli obiettivi estetici dell’arte moderna. Giustifica questo strano cambio di paradigma nel mutare delle stesse relazioni sociali fra individui, i quali sono più curiosi, intessono più relazioni e rompono, progressivamente, il proprio isolamento.

L’arte relazionale è una forma d’arte che considera l’uomo come un essere inserito nell’universo delle relazioni e del contesto sociale in cui esse si svolgono. La costruzione dell’opera richiede la partecipazione attiva dello spettatore, senza il quale l’arte non esiterebbe. L’artista relazionale, infatti, va all’origine della creatività, provando a creare qualcosa insieme al fruitore. Un’opera d’arte espansa e collettiva.

Un’arte che diventa l’orizzonte delle interazioni umane e non più l’affermazione di un singolo, dello spazio privato dell’artista.

Bourriaud in testo del 2002 vede le opere d’arte mutevoli, proprio come è mutevole il mondo del web che non è uno spazio privato, ma è condiviso e collettivo e inserito anch’esso in un contesto sociale fatto di relazioni.

Le opere d’arte relazionale sono chiamate così proprio perché non sono che modi differenti di guardare e vedere la realtà. Una realtà, il cui significato è dato da un’elaborazione di gruppo.


La prima opera d’arte relazionale

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La prima opera d’arte relazionale nasce nel 1981 in Italia, precisamente in Sardegna, nella cittadina di Ulassai, grazie a Maria Lai.

In realtà nasce grazie all’inconsapevole sindaco di Ulassai, che nel 1979 affida all’artista sarda, l’incarico di realizzare un monumento per la città. Alla fine, però, Maria Lai ottiene il permesso di non realizzare un’opera tradizionale creando “Legarsi alla montagna”.

La Lai inizia a concepire il grandioso eventi interrogando la gente del paese sulle leggendo del posto e venne colpita particolarmenete da una storia:

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Ulassai, legarsi alla montagna 1981

“Una bambina viene mandata sulla montagna a portare del pane ai pastori. Giunta sul luogo, sente il brontolio del tuono: sta per scoppiare un temporale. La bambina si rifugia, allora, in una grande grotta e proprio qui trova tutte le greggi e i pastori che si riparano, aspettando la fine della bufera. All’improvviso, fuori dal rifugio, si vede svolazzare un nastro celeste portato dal vento. I pastori lo notano, ma non gli danno importanza, lo giudicano una frivolezza. Ma la bambina, capace di stupore, non mette freno al suo istinto, corre dietro al nastro, incurante nella pioggia. In quel momento la grotta frana e inghiotte dentro di sé greggi e pastori.”

Per la Lai il nastro azzurro è metafora dell’arte e l’insegnamento era semplice: il superfluo è indispensabile alla vita. L’inutile è necessario.

La bellezza e l’arte, apparentemente frivoli e inutili, salvano la vita.

E proprio da questa consapevolezza l’artista pensa ad un’azione che coinvolga e che sia compiuta da tutti gli abitanti di Ulassai, inspirandosi al nastro celeste della storia.

L’idea fu quella di legare tutte le case tra loro tramite un nastro e arrivare fino alla montagna che sovrasta la città, simboleggiando uno scambio tra uomo e natura selvaggia, legando le proprie radici a una “montagna sacra”.

Fun fact dell’operazione “Legarsi alla montagna”

Arte relazionale, Maria Lai
Ritratto fotografico di Maria Lai

Maria Lai, prima di procedere dovette convincere (con grandissimi sforzi) tutti gli abitanti di Ulassai e tra varie titubanze si arrivò ad un compromesso finale. Siccome non è raro che nelle piccole cittadine ci siano screzi e scaramucce tra gli abitanti, si decise che ci sarebbero stati dei simboli diversi a seconda del rapporto che correva tra casa e casa.

Se c’era un vincolo di parentela e di affetto si aggiungeva al nastro un pane della festa, una di quelle forme incise e decorate come ricami di cui in Sardegna c’è una tradizione millenaria. Invece, se tra case esisteva solo un legame di amicizia si faceva solo un nodo; e se, come spesso capita, c’erano motivi di rancore e d’odio bastava solo il nastro, senza nessun altro segno.

Ma non finì di certo qui.

Il prete di Ulassai si arrabbiò tantissimo quando Maria Lai avanzò l’idea di questa sua opera relazionale perchè era riprovevole associare una leggenda sacra a un’opera d’arte così inusuale! Il simpatico uomo di chiesa sosteneva che con “legarsi alla montagna” la Lai avrebbe profanato il nastro della madonna.

Polemica inutile quella del prete della cittadina, perchè l’artista rispose :” Non si preoccupi, poi il nastro alla Madonna lo restituisco”. Ma non finì qui. La Lai decide di unire il sacro al profano e mette in scena la performance l’8 settembre: il giorno dei festeggiamenti alla Madonna.

Il prete di Ulassai venne così zittito da una donna piccolissima e teneramente detestabile che da quel giorno verrà sempre ricordata come la grande artista che rese Ulassai una città d’arte.


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